Zamboni 36: chi sarebbero gli squadristi?

Ho potuto leggere, qualche ora fa, una letterina pubblicata sul profilo facebook di “La Rivista Intelligente” (webmagazine peraltro piuttosto visitato di cui, nella mia ignoranza proletaria, ignoravo l’esistenza) la cui autrice è Mirella Mazzucchi, coordinatrice gestionale della Biblioteca di Discipline Umanistiche, la stessa al centro dell’attenzione non solo cittadina ma nazionale a seguito della lotta studentesca contro l’installazione dei tornelli per l’accesso; la stessa biblioteca dove sono stato studente tirocinante tra il maggio e il luglio dell’anno scorso. Continua a leggere

Zamboni 36: Unibo sempre più sbirrosa

Abbiamo riportato martedì scorso l’emergere di una mobilitazione studentesca a seguito dell’installazione di tornelli per l’accesso alla Biblioteca di Discipline Umanistiche in via Zamboni 36, nel cuore della zona universitaria bolognese. L’evoluzione di questa lotta contro questo ennesimo balzo in avanti nel controllo sempre più carcerario dei luoghi pubblici, università in primis, è significativa sta avendo un’eco nazionale.

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Colau e De Magistris per Làbas: scegliersi gli alleati giusti!

In occasione del recente incontro pubblico “Rebel cities” a Marghera, i sindaci di Napoli e di Barcellona, Luigi De Magistris e Ada Colau, hanno speso parole in difesa dell’occupazione “bene comune” dell’ex-caserma Masini, nota come Làbas. Uno spazio destinato dal Piano Unitario di Valorizzazione del comune di Bologna e dalla Cassa Depositi e Prestiti (che possiede l’immobile) a un complesso comprendente un albergo, una trentina di alloggi, attività commerciali e ristorative, il tutto “in armonia” col resto del quartiere Santo Stefano, uno delle aree “bene” della città. Attualmente, nei suoi documenti la CDP definisce Làbas “in fase di liberazione”ed in effetti è da dicembre che pende un decreto di sequestro della procura bolognese. Nonostante alcune aperture formali da parte della giunta comunale di Bologna e dalla stessa CDP, nel concreto la situazione è rimasta la stessa e il recente sgombero dell’occupazione abitativa di Porta Galliera costituisce la conferma palese della volontà da parte del comune di Bologna di far rispettare ordine, legalità…e il sacro diritto alla proprietà privata dei palazzinari e dei grandi gruppi capitalistici, privati e pubblici. A danno dei proletari, spesso senza lavoro e senza salario, che trovano sempre più difficile pagare affitti esagerati, anche nel caso degli alloggi popolari.

Rivendicare quindi l’esistenza e la difesa di realtà recuperate al degrado e all’abbandono, autogestite da chi abita i quartieri, è legittimo e anzi doveroso. Si pone però la questione politica per cui bisogna chiarire su quali basi si possono mobilitare inquilini, lavoratori, studenti, abitanti dei quartieri popolari, e non solo, per portare avanti il movimento di lotta per la casa in generale, e la difesa di spazi recuperati autonomamente dall’abbandono.

Se lo Stato e le sue aziende conducono le stesse politiche dei palazzinari, dovendo rispondere politicamente a loro e ai capitalisti in genere, e non ai lavoratori e alla povera gente, allora va affermata con forza la piena autonomia politica della lotta per la casa, delle occupazioni, dallo Stato e dalle forze politiche che a qualsiasi livello governano. In questo senso, sarebbe prioritario cercare legami non solo di solidarietà, ma di fronte comune e unità nella lotta con le realtà popolari e del movimento operaio: sindacati, assemblee nei posti di lavoro, studenti e loro realtà organizzate, ogni realtà di movimento e di lotta dei proletari.

Pare invece inopportuno il grande entusiasmo per la solidarietà dei due sindaci che abbiamo ricordato, la Colau e De Magistris. In primis perché, come abbiamo detto, aldilà delle divergenze politiche che possono avere con la linea di Merola e del PD (o del PSOE in Spagna), si sono presi l’incarico di gestire una porzione dell’apparato statale senza voler rompere apertamente con le leggi “d’austerità” e le controriforme imposte negli ultimi decenni dai vari governi (di centrodestra o centrosinistra che fossero), e quindi condannandosi a gestire, magari con qualche sfumatura “a sinistra”, le politiche di tagli imposte dalle classi dominanti in Spagna come in Italia.

Nel nostro caso, da una parte abbiamo il sindaco De Magistris che, nel caso della storica occupazione abitativa ell’ex convento Franciosa a Napoli, non ha giocato alcun ruolo nella lotta degli inquilini, che hanno dovuto fronteggiare da sé tentativi di sfratto portati avanti da ingenti schieramenti di forze dell’ordine mandate dai proprietari del convento, cioè la Curia di Napoli, la quale ha mandato al diavolo, è il caso di dirlo, lo spirito di carità, rivendicando la sacralità della propria proprietà privata di un immobile lasciato vuoto per anni e occupato da povera gente che non avrebbe altro posto dove andare. Sono state l’auto-organizzazione degli inquilini, la loro perseveranza nel resistere ai tentativi di sfratto e allo stacco di acqua e luce, la loro rivendicazione intransigente di una piena regolarizzazione dell’occupazione, a far piegare Curia e Comune. Il tutto senza alcuna fiducia nella bontà del clero o del sindaco, ma con l’appoggio del sindacato Asia-Usb, dei compagni del Coordinamento Studenti Napoli Est, del CSR Napoli e della sezione napoletana del Partito Comunista dei Lavoratori, e non certo delle immaginarie guardie dello “zapatismo napoletano” proclamato da De Magistris.

Nel caso di Barcellona, proprio lo scorso maggio il sindaco Colau ha dato il via libero politico allo sgombero violento (con parecchi feriti) del Banc Expropriat: un immobile di proprietà bancaria lasciato vuoto e occupato nel 2011 da attivisti della sinistra catalana. Un’occupazione nel cuore dello storico quartiere Gràcia sgomberata a un anno dall’insediamento di Ada Colau che, ironia della sorte, deve la sua carriera politica al suo ruolo di portavoce del movimento di lotta per la casa Plataforma de Afectados por la Hipoteca (nata sull’onda degli sfratti massa in Spagna seguiti alla crisi del 2007-8): le dichiarazioni di una politica “antisistema” appoggiata al trasformismo opportunista di Podemos, i discorsi a favore di una rete di “città ribelli” si sono risolti nell’appoggio politico di uno sgombero violento in forze di un’occupazione storica a favore della quale Colau si era più volte espressa salvo, evidentemente, tornare alla realtà della società capitalista una volta che si è trovata in un ruolo di governo. Confermando con la sua politica che nel concreto non si può al contempo fare gli interessi degli sfruttati e delle realtà popolari di quartiere, e gestire lo Stato borghese, fatto a immagine e somiglianza di banchieri, industriali e palazzinari. E Ada Colau ha scelto da che parte stare: dalla parte dei banchieri che volevano il loro immobile indietro. E lo ha fatto confermando come il precedente sindaco di centrodestra Xavier Trias abbia creato un “buco” di 65.000 euro nel bilancio comunale versando segretamente l’affitto dello stabile ai proprietari, costretto dal fatto che gli inquilini si erano rifiutati di pagarlo o di lasciare l’immobile: paradossalmente, mentre la Colau ha confermato che la galassia di Podemos sa prendersi le sue responsabilità di fronte alla borghesia e alle sue leggi, Trias dovrà ora fronteggiare un’inchiesta per aver usato fondi pubblici a favore di un’occupazione. Cosa che non fa certo di lui “un compagno”…

La lotta per la casa e la difesa delle occupazioni non devono essere l’ennesima occasione di sconfitta generale costruita su illusioni e strategie interclassiste: è sul terreno dell’unità di classe, della ricomposizione delle lotte e delle istanze degli sfruttati, dei lavoratori, degli studenti, della povera gente che abita nei quartieri popolari, che si può mettere in campo un’opposizione politica ai palazzinari privati e pubblici, una mobilitazione di massa che garantisca reali conquiste di salario e di migliori condizioni di vita. Che metta finalmente in questione non i cattivi politici o la casta, ma il capitalismo in toto, la sua dittatura del profitto, la barbarie che genera in ogni città, in ogni paese del mondo.

Giacomo Turci

Continua la repressione padronale: non si fermeranno le lotte!

Artoni

A seguito della lotta degli operai Stemi-Artoni e Astercoop per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro e poi per il reintegro dopo un licenziamento politico di massa, continua la campagna di repressione della lotta operaia a Cesena, a grande richiesta di Artoni e Coop Adriatica.
A nemmeno un mese di distanza dal proscioglimento di lavoratori, sindacalisti e militanti solidali alla lotta dei lavoratori Stemi-Artoni per il reintegro sul posto di lavoro, a seguito dell’accusa di violenza privata e altri reati, sono state recapitate altre due notifiche di citazione a giudizio per i picchetti dell’ottobre-novembre 2015. Ancora una volta, vengono colpiti dalla repressione giudiziaria i lavoratori, i loro rappresentanti sindacali e i militanti che hanno sostenuto in prima persona la loro lotta, i loro picchetti. Tra questi, alcuni militanti del collettivo Studenti Rivoluzionari di Bologna.
Si tratta di un gravissimo atto di repressione e l’intento è chiaro: tagliare le gambe ai lavoratori, privarli del sostegno e della solidarietà di studenti e altri lavoratori, privarli della rappresentanza sindacale.
Non è la prima e non sarà l’ultima denuncia che ci colpirà: chi lotta per la rivoluzione sa di dover subire la repressione di chi comanda e di chi sfrutta, perché mina le basi di questa società governata da un pugno di industriali e banchieri.
Come Studenti Rivoluzionari, non ci faremo certo intimidire dalla repressione dei capitalisti e continueremo a stare al fianco dei lavoratori in lotta. Per la liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato e della dittatura del profitto e del capitale.

Libertà d’espressione e opposizione politica oggi

Ora che le acque si sono calmate ed è passato il quarto d’ora mediatico dedicato alle ultime contestazioni bolognesi a Matteo Salvini, è forse possibile fare qualche considerazione politica utile ai compagni del movimento operaio e di quello studentesco; un movimento, quest’ultimo, di cui faccio parte così come i compagni autori dell’articolo “Il feticcio della libertà d’espressione”. Mi permetto dunque, in risposta a tale articolo, qualche riflessione.

Gli autori commettono un errore (assolutamente in buona fede, immagino, volendo portare il lettore nel preciso campo politico di loro interesse) quando fanno risalire la genesi del concetto di libertà di espressione “in Italia” alla resistenza del 1943-5 (contraddicendosi, ricordando poi giustamente origini borghesi ben più antiche del concetto). Prendendo per buono il fatto che il concetto politico di “italianità” fosse già diffuso diversi secoli fa (cosa sia poi l’Italia, non si può trattarlo qui), la battaglia, degli strati e delle classi sociali (ri)emergenti in Italia dal basso medioevo in poi per affrancarsi dallo strapotere economico, politico, culturale che le opprimeva (sostanzialmente, quello della Chiesa, dell’Impero, delle potenze straniere), costituì fin da subito uno scontro politico per la libertà d’espressione, cioè per la libertà d’opinione e critica fuori e contro le potenze di cui sopra. Le dottrine moderne sulla libertà d’espressione sono storicamente nate da quella lotta, dall’affermarsi sull’arena economica e politica di strati sociali nuovi (o riemersi in nuove forme) contrapposti alle classi dominanti feudali. Il consolidamento del potere di queste classi sociali in evoluzione non poteva che passare da una libertà di pensiero, di dibattito, di ricerca scientifica contrapposta alla piramide teologica che sanciva la sacralità dell’ordine politico feudale. Quella situazione di proprietari piccoli e medi in ascesa, sia in lotta fra di essi nel gioco dell’accumulazione, sia contrapposti ai grandi proprietari di terre, reclamava a gran voce la più forte difesa della libertà d’espressione universale, dove l’universale, guarda caso, non veniva esteso di buon grado agli sfruttati. Successivamente, l’epoca della grande concentrazione e centralizzazione dei capitali, l’epoca dei cartelli, dei trust e dei monopoli, ha preparato le condizioni per una dottrina politica della centralizzazione della libertà di pensiero: la formazione dell’opinione pubblica è affidata a pochi grandi organi di stampa e mediatici legati alle grandi fazioni della borghesia in competizione tra loro, se non a un solo grande trust politico culminante idealmente nel partito unico più o meno fascista.

La fine del secolo scorso ha visto saltare l’alternanza “classica” tra blocchi politici di centrodestra e centrosinistra (composti, questi ultimi, di solito da partiti di origine operaia assestati nel campo politico borghese) a seguito della fine dei decenni “d’oro” del secondo dopoguerra: avanzando fasi di crisi sempre più profonde e difficili da superare, la forbice delle possibili politiche di governo si è assottigliata: esempio lampante è il Labour Party di Tony Blair in prima fila nella crociata imperialistica contro il demone del terrorismo islamista. In questo senso, in termini giornalistici, non è infondato parlare dello stabilirsi di una grande destra diffusa (vedi “partito della nazione”) dove il campo politico social-riformista non ha modo e senso d’esistere.

Venendo a noi, ci troviamo in una fase di crisi acuta delle classi dominanti europee, impegnate a mantenere per quanto possibile un posto privilegiato (forse con un’UE più forte, forse no) in un mondo dove l’epoca dello strapotere incontrastato USA-NATO sta finendo, e dove la stabilizzazione di nuovi equilibri tra imperialismi e grandi blocchi capitalistici è lontana. In Italia, in particolare, assistiamo all’evoluzione storica della carta “centrosinistra” giocata da un blocco importante, competitivo e “illuminato” della borghesia: con Renzi si è passati a una fase di pesante attacco delle classi dominate e delle loro forme di organizzazione, sindacati in primis. Con un PD, riplasmato come partito borghese lanciato sulla scia del bonapartismo di Renzi, a fare da ariete. In questo quadro, altri settori della piccola e grande borghesia si affidano a un altro blocco, quello di Salvini e di altri reazionari; a una prospettiva politica diversa, anche se non certo alternativa, dato che nessuno dei partiti padronali vuole certo questionare o, dio ce ne scampi, abbattere il sistema capitalistico in cui ci troviamo.

Oggi, la battaglia per plasmare l’ideologia dominante si gioca quindi fra blocchi a noi estranei, a formazioni politiche supportate dalle classi dominanti e che vivono per esse, risultando noi loro nemici e esse nostre nemiche: questo concetto, mi pare, deve essere cristallino; non tanto tra i “compagni” ma, in prospettiva, ai lavoratori, a tutti gli sfruttati, alle classi dominate in toto.

La nostra situazione, dunque, vede un progetto di delegittimazione, indebolimento e, in prospettiva, demolizione di qualsiasi opposizione politica delle classi sfruttate: per compiere più comodamente il loro macello – sempre meno metaforico, visto lo scenario di armamento generale e di conflitti militari diffusi, anche a poca distanza dai confini italiani. Si capisce allora subito perché lo Stato non abbia alcun interesse a reprimere sistematicamente “l’opposizione” fascista o comunque apertamente reazionaria e più o meno sovversiva: essa è funzionalissima a quel lavoro sporco di istigazione alla guerra tra poveri e di aggressione (formale con le forze dell’ordine o informale con le squadracce) agli oppositori politici e agli sfruttati in lotta. In questo senso, se c’è un vero erede del situazionismo, quello è il senso comune “democratico” di oggi: fascisti e squadristi sono coloro che contestano “da sinistra” le politiche reazionarie della Grande Maggioranza parlamentare borghese. La libertà di parola e manifestazione viene rivendicata a gran voce, per esempio, dal M5S per i fascisti, quando una qualsiasi critica (anche pacata e circoscritta) ai capitalisti e ai loro partiti in quanto tali è irragionevole, squalificata, “ideologica”. Proprio perché, nelle epoche schiacciate verso la reazione, come la nostra, l’ideologia dominante è talmente consolidata e radicata da diventare “tecnica”, “buon senso”, “buon governo” e via destreggiando. Mentre la critica dell’ideologia dominante è ideologia, falsa coscienza, mala fede; chi critica la società capitalistica, faccio notare, è spesso etichettato come “figlio di papà”, a dimostrazione che in tante cose il fascismo non ha perso ma ha stravinto, riuscendo a ribaltare la realtà per cui chi difende la politica borghese dà del prezzolato borghesotto ai proletari in lotta e agli anticapitalisti. Preso atto di ciò, questi ultimi farebbero bene a non riporre la minima speranza in una difesa giuridico-costituzionale dai reazionari: viene da chiedersi, quale giustizia e quale antifascismo possono difendere una legge e una costituzione scritte col marchio di togliattiana infamia dell’amnistia dei fascisti e dell’emarginazione, della carcerazione e dell’internamento di svariati partigiani (comunisti perlopiù, ovviamente)?

Chiarito questo, sì, “chiunque può dire qualsiasi cosa”: a patto che si pieghi al potere delle élite dominanti, gli si riconosce la libertà di compiacente parola e il patentino di democratico. Proprio quel sudicio patentino noi dobbiamo strappare, più che degli inutili quanto ininfluenti libri firmati da Salvini. Chi, specie in questa fase reazionaria di riflusso e smobilitazione, intende porsi come avanguardia politica (a proposito di ‘noi’ e identità politiche perdute nella nebbia) nel movimento operaio e studentesco, non può che avere come compito prioritario quello di ribadire, con chiarezza, costanza, inflessibilità, che la democrazia del tonfa, dei tagli, del razzismo, è la democrazia borghese; non ce n’è un’altra possibile, per noi, qui, oggi. Se questo è vero, più che la contestazione dei nemici (su cui si vince combattendo e non contestandoli), ci spetta un compito ben più ampio, faticoso, metodico, paziente, scientifico: la coltura, il perfezionamento e la diffusione di una coscienza di classe, rivoluzionaria, comunista, tra gli sfruttati, tra i lavoratori, tra gli studenti (tenendo conto della particolare posizione di questi ultimi nel complesso della divisione in classi della società); la ricostruzione di organismi di autorganizzazione di massa (ripeto: di massa, di massa, di massa!) degli studenti; la dialettica fra presa di coscienza, rafforzamento dell’organizzazione e dinamiche strutturali – perché molto non dipende da noi né dalle nostre coscienze, ma dall’evoluzione generale del conflitto di classe e delle sue conseguenze sullo Stato e sulla società civile. A proposito: le scelte di economia politica dello Stato e dei suoi addentellati non sono, appunto, disgrazie naturali o frutto di sadici piani di una plutocrazia nascosta (a proposito di fascismo): sono le conseguenza dell’evolversi della nostra società capitalistica in questa fase di incertezza fra la potente crisi del 2007-8 e un’altra crisi economica, forse ancora più forte e non molto lontana, che ci aspetta. È il capitalismo, bellezza: prendere o… abbattere. Proprio qui sta il punto: non c’è un’altra società, un’“altra Europa” se non una società che superi il capitalismo abbattendolo e rimuovendone sistematicamente le macerie. Da marxista, non posso che ripetere fino alla nausea più totale che tale società futura, e il movimento stesso che già ci sta portando a essa, sono il comunismo: la società che supera le classi sociali, la necessità di uno Stato, lo sfruttamento. La società dove l’espressione è libera perché liberi ed eguali sono i suoi membri. Battersi con questa prospettiva fa sì che il gioco valga la candela e che ogni passo in avanti del movimento reale sia un passo in più verso un obiettivo chiaro, storicamente necessario, comprensibile e condivisibile dalle più vaste masse di sfruttati e oppressi. L’alternativa è tra uno sterile lamento basato sulla confusa concezione di una “democrazia pura”, e un’agenda indipendente di mobilitazione politica, sui NOSTRI temi (caro vita, disoccupazione, sfruttamento, guerre, ecc.). Battersi con una prospettiva e una strategia rivoluzionarie rendono possibile continuare e sviluppare la lotta superando ogni illusione verso la democrazia borghese, ogni vittimismo e ogni feticismo della contestazione.

Giacomo Turci

Agli studenti medi: ribellatevi, organizzatevi!

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di un compagno studente lavoratore, sulla cui posizione di fondo concordiamo senz’altro. La durezza della controriforma Renzi-Giannini ci pone di fronte a un guado: o si torna tutti a casa e si subisce lo schiavismo dell’alternanza scuola-lavoro e dei tornelli, o si (ri)costruisce una risposta organizzata, di massa, radicale degli studenti e dei lavoratori della scuola. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono mediazioni: questo governo le mediazioni non le vuole, lo ha dimostrato con il Jobs Act e con la rottura coi sindacati. Questa società non è riformabile, non ci sarà mai un mondo migliore all’interno del capitalismo: i bisogni della grande maggioranza si scontrano col “bisogno” di fare profitto per vincere la guerra del mercato.

 

Le scuole superiori hanno iniziato ad installare colonne per la registrazione elettronica delle presenze. Agli studenti viene assegnata una tessera magnetica con cui registrare i loro ingressi. Come in fabbrica, come in ufficio. Tutti in fila come pecore a comporre l’ordinato quadro sociale che vuole la spersonalizzazione individuale. Vi vogliono obbedienti e disciplinati automi in formazione, funzionali al funzionamento della macchina sociale chiamata capitalismo. Gli studenti di oggi saranno i lavoratori di domani. Tanto vale abituarli al mansueto rispetto delle convenzioni sociali. Questo è il ritornello del mondo del lavoro renziano.

Nell’aprile del ’67 in California, alla Cubberley High School di Paolo Alto, il docente di Storia Ron Jones applicò un esperimento sociale per spiegare ai suoi studenti come si educa un popolo ad una dittatura. Denominò l’esperimento la Terza onda e coniò il motto: “Forza attraverso la disciplina, forza attraverso l’unione, forza attraverso l’azione, forza attraverso l’orgoglio”. Dotò gli studenti di un’estetica comune omologandoli. Gli studenti si fecero coinvolgere, si omologarono, sospesero il loro spirito critico. Sospesero le loro facoltà celebrali affidandosi al leader: il loro educatore Ron Jones, il quale gli aveva fatto persino credere di appartenere ad un movimento nazionale. All’ultimo giorno dell’esperimento, accolto come un leader disse: “Ascoltatemi con attenzione, ho una cosa importante da dirvi. Non c’è nessun leader. Non c’è nessun movimento nazionale chiamato la Terza Onda. Siete stati usati e manipolati: non siete migliori dei tedeschi che hanno aderito al nazismo che avete studiato.”

Non ci sono Ron Jones negli istituti e nei Licei italiani, non ci sarà chi vi dirà che siete stati manipolati all’interno dell’istituzione scolastica. Siete voi che dovere reagire, resistere, organizzarvi.

Assistiamo ad un nuovo nazionalismo di massa, ad un lento ritorno al colonialismo, al ritorno ai campi di concentramento in cui gettare esseri umani, al ritorno allo filo spinato e allo strapotere dei cani da guardia del capitale, uomini armati “ufficialmente” o meno, non tanto contro il “terrorismo” quanto contro le masse degli sfruttati che lottano contro miseria e disperazione. Ad una disoccupazione permanente e a condizioni di lavoro da incubo in cui si viene persino controllati da telecamere.

I vostri genitori perdono il lavoro e vivono lunghi periodi di disoccupazione. Nonostante ciò, spesso non rigettano la brutale logica del capitalismo e sostengono i partiti dell’ordine e della disciplina (compresi quelli del populismo “anti-sistema”).

A voi il dovere di prendere coscienza di appartenere ad un’unica classe mondiale: quella degli sfruttati. Vi vogliono mansueti, ordinati, mentre aumentano i prezzi dei mezzi pubblici, aumentano i prezzi dei libri e comprimono il potere d’acquisto dei figli della classe operaia. Ribellatevi, organizzatevi. Rendete il loro futuro un inferno precario, prima che siano loro a destinarvi questo avvenire.

Trotsko

 

CONTRO SFRUTTAMENTO, REPRESSIONE E GUERRA, UNITÀ NELLA LOTTA DI CLASSE!

Riportiamo il testo del volantino che distribuiremo in scuole e facoltà, al corteo di domani in memoria di Francesco Lorusso (ritrovo ore 18 in piazza Verdi) e al corteo di sabato contro la guerra (ritrovo alle 15 in piazza San Francesco). Invitiamo tutti gli studenti a partecipare a questi due importanti appuntamenti di piazza, per ribadire le nostre ragioni contro oppressione poliziesca e giochi di guerra delle classi dominanti.

Gli Studenti Rivoluzionari aderiscono e partecipano alle manifestazioni bolognesi in memoria di Francesco Lorusso e contro la guerra, indette per l’11 e il 12 marzo. Manifestazioni che sarebbero ‘naturalmente’ collegate, contro repressione poliziesca e interventi militari, salvo che con ogni probabilità assisteremo all’ennesima divisione e dispersione di forze che avrebbero invece ogni interesse a convergere nella comune lotta alla classe dominante e ai suoi sgherri armati.

Ribadiamo che l’appello di convocazione del 12 marzo contiene alcune sfumature che non condividiamo: il riferimento ad un’Italia “neutrale” quale fattore di “pace”. L’Italia è un paese imperialista, tra paesi e potenze imperialiste. Nessun imperialismo può essere fattore di pace, quale che sia la sua collocazione diplomatica, perché si fonda sull’oppressione diretta o indiretta di altri popoli. Solo il rovesciamento dell’imperialismo, e dunque del capitalismo su cui si fonda, può liberare uno scenario di vera pace. Che è inseparabile dall’emancipazione e liberazione da ogni oppressione. Tuttavia, il limite pacifista dell’appello non cancella il suo valore positivo e progressivo. Tanto più a fronte dei preparativi di guerra in Libia, e della continuazione del tragedia siriana. Si pone la necessità di allargare il fronte della mobilitazione contro la guerra, fuori da ogni logica minoritaria, per trasformarlo in un fattore politico capace di incidere sulla scena politica italiana. Per questo è giusto e opportuno che convergano in questa lotta quante più forze possibili che rivendicano la pace contro la guerra, forze politiche, sindacali etc. del movimento operaio e studentesco. Sosteniamo quindi senza riserve la formazione e la crescita di comitati unitari contro la guerra che, nel rispetto delle diversità di posizioni e del loro confronto, siano capaci di aggregare in ogni territorio il fronte di mobilitazione più vasto. In questo percorso, ribadiremo la nostra prospettiva di fondo: classista, internazionalista, rivoluzionaria.

Il “keynesismo militare” di rilancio della spesa bellica italiana ed europea dimostra che di soldi per i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, gli studenti ce ne sarebbero eccome! Ma le priorità della spesa pubblica e degli investimenti sono decise dai “soliti noti”: banchieri, industriali, palazzinari, clero. È il momento di dire basta a questa austerità a favore dei pochi grandi proprietari (a cui invece si tagliano pure le tasse) per riaffermare le nostre priorità, i nostri bisogni in una sola piattaforma unificante di tutti gli sfruttati e gli oppressi: uniamo le lotte e le rivendicazioni, perché solo uniti si vince.

La migliore scommessa che possiamo fare è quella del rilancio del movimento studentesco collegato a quello dei lavoratori: la migliore risposta a sfruttamento, repressione e guerra è l‘unità nella lotta di classe.

Contro tagli e “austerità”, rivendichiamo l’unico autentico diritto allo studio, la totale copertura economica delle spese degli studenti: a tempo pieno di studio, un salario pieno per gli studenti!
Per una scuola di qualità, di massa, gratuita, gestita da lavoratori e studenti, e non da industriali e da preti!

Non siamo bestie a cui dare le briciole che cadono dalla tavola dei padroni!

PER L’UNITÀ DEL MOVIMENTO STUDENTESCO NELLA LOTTA ALLA REPRESSIONE

POLIZIESCA, AI BARONI GUERRAFONDAI, ALLA GUERRA!

NO ALLA PROPAGANDA BELLICA NELLE NOSTRE SCUOLE, NELLE NOSTRE FACOLTÀ!

NO ALLE RONDE ARMATE PAGATE DALL’UNIBO!

NO ALL’UNIVERSITÀ ASSERVITA ALL’INDUSTRIA BELLICA!

STOP ALLE MISSIONI MILITARI ALL’ESTERO!

TAGLIARE LE SPESE MILITARI! PER SALARI PIÙ ALTI AI LAVORATORI, PER UN SALARIO AGLI STUDENTI!

LA PACE DEL MONDO VER CON LA CADUTA DEL CAPITALISMO!

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