Una marea di studenti in assemblea: la lotta contro i tornelli, e oltre

Partiamo da un fatto: ieri sera in Via Zamboni 38 a Bologna letteralmente una marea di studenti (500 per essere modesti) si è riunita nella più grande assemblea studentesca che abbia visto in tre anni di frequentazione assidua dell’Unibo: due aule strapiene e proiezione sul maxischermo (persino Repubblica è stata costretta a parlarne).

Questo fatto di straordinaria rarità in tempi in cui le opinioni sono affidate perlopiù ai social, mi ha emozionato. Ma non è solo delle mie emozioni che voglio scrivere, bensì di alcuni pensieri e considerazioni su ciò che in quelle aule gremite ieri si è detto, ed anche su ciò che non si è detto. Perché quello che non si dice a volte è più significativo di ciò che viene rivelato.

Prima considerazione da fare è che l’eccezionalità di un simile incontro si è potuta verificare in seguito all’esplosione mediatica cittadina e nazionale a cui i vergognosi fatti dell’irruzione della polizia nella biblioteca del 36 sono stati esposti. Senza quell’attenzione mediatica, favorita forse dal comportamento della polizia e da un questore che ha osato davvero troppo anche a detta dei benpensanti, probabilmente ieri non saremmo stati così tanti.

E ciò un po’ amareggia perché significa, e sarò forse banale, che nella percezione della maggioranza della massa studentesca un fatto accade solo se narrato dai media, o quanto meno, è percepito con maggiore forza e vigore di realtà, se narrato dai media, proporzionalmente all’importanza e all’attendibilità del mezzo.

Seconda considerazione da fare: un fatto eccezionale (ma sempre più “normale” e normalizzato) quale è stata l’irruzione al 36 della polizia, sia pure per via del clamore mediatico e del tam tam sui social, ha avuto una risposta altrettanto eccezionale quale è stata l’assemblea di ieri.

E per proseguire nelle nostre considerazioni ed evidenziare limiti e potenzialità di tale assemblea siamo ora costretti ad avvicinarci ai contenuti che sono stati discussi.

I compagni e le compagne del Cua hanno introdotto la serata riassumendo la loro versione, di testimoni in prima persona, di ciò che era accaduto nella biblioteca. Dopodiché una ragazza si è occupata di registrare i nomi di chi voleva intervenire. Più di una decina di interventi, tra loro variegati, alcuni significativi dal mio punto di vista, altri meno.

L’impressione infatti è che almeno la metà (se non più) degli studenti presenti erano curiosi venuti lì per capire cosa mai stesse succedendo nella loro Università e perché persino il TG1 ne parlasse. Una parte di questi curiosi però  si è mostrata favorevole ai tornelli, alcuni di essi non avevano una opinione precisa, altri ancora erano contrari ma denunciavano i modi “violenti” del CUA. A proposito di violenza, a un certo punto un ragazzo ha chiesto a coloro che erano contrari alla violenza di alzare la mano. Tanti presenti lo hanno fatto. Per quanto mi riguarda, anzi per quanto ci riguarda, questo è un problema perché rivela una grande ingenuità da parte degli studenti circa un fatto essenziale ed elementare che caratterizza la storia umana: nessun grande stravolgimento, che piaccia o no, si è verificato senza una certa dose di violenza. Sulle modalità di questa violenza poi, sul fatto che essa debba essere violenza rivoluzionaria e non violenza individuale magari perpetrata da un folle o da una elite (come fu ad esempio per le Brigate Rosse) e in maniera sconnessa dalla classe, dagli sfruttati e dalla maggioranza, su questo certamente si può e si deve discutere.

Fortunatamente qualche intervento dopo qualcuno ha ribadito come sia il sistema capitalistico, quello entro cui e attraverso cui ci muoviamo e sotto il quale siamo costretti a rinunciare al presente e ancor più al futuro, ad essere violento e non chi manifesta. Scardinare un fornello infatti, in quanto a violenza, non potrà mai essere equiparabile  alla costrizione di una generazione intera al precariato.

Quegli studenti venuti lì per “curiosità” temo che non ci torneranno perché un’assemblea non è stata sufficiente a mutare la loro coscienza. Il lavoro è molto più lungo. Ma è un lavoro che va fatto, ed anche questo ieri è un po’ mancato, non limitandosi a discutere di tornelli né solo discutendo tra studenti. Il tornello è un simbolo, è qualcuno ieri giustamente lo ha detto. Per quanto mi riguarda il tornello è inutile e dispendioso (oltre che dannoso), ma la questione non dovrebbe essere posta tanto in termini di efficacia o meno del tornello nella risoluzione di un problema di percepita insicurezza, ma in termini di ciò che il tornello rappresenta. Il tornello è solo un tassello, uno step di un processo innescato dall’idea che c’è dietro il tornello che è quella di una università “chiusa”, militarizzata, controllata, ad ingressi centellinati e quantificabili al fine di soddisfare interessi privati (il modello anglo-americano). Questo significa che oggi la barriera si è materializzata nei tornelli, domani potrebbe essere peggio e diventare dispositivi di controllo ancora più pervasivi ed escludenti in un luogo che è, o dovrebbe essere, pubblico. A sua volta, quello che va ribadito per non rimanere isolati e non far rimanere la rivendicazione isolata, è la sua costante connessione con tutto il resto. Innanzitutto con le altre rivendicazioni degli studenti, che dovrebbero essere chiarificate e rese ambiziose (non solo stop ai tornelli e ripresa degli spazi, ma organizzazione di collettivi di facoltà, stop al caro-mensa, abbassamento delle tasse, fino ad arrivare alla rivendicazione di un reddito fisso per gli studenti). In secondo luogo tutte le rivendicazioni degli studenti vanno costantemente collegate a quelle del mondo del lavoro e dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, etc…, sarebbe infatti davvero troppo ingenuo trattare l’Università come un territorio neutrale e non come un avamposto di una società capitalistica sbagliata che vogliamo combattere nel suo complesso, anche e soprattutto perché ci riguarda da vicino, essendo quella dentro cui ci troveremo a lavorare (o a non lavorare) una volta usciti dall’Ateneo.

Matteo Iammarrone.

Zamboni 36: chi sarebbero gli squadristi?

Ho potuto leggere, qualche ora fa, una letterina pubblicata sul profilo facebook di “La Rivista Intelligente” (webmagazine peraltro piuttosto visitato di cui, nella mia ignoranza proletaria, ignoravo l’esistenza) la cui autrice è Mirella Mazzucchi, coordinatrice gestionale della Biblioteca di Discipline Umanistiche, la stessa al centro dell’attenzione non solo cittadina ma nazionale a seguito della lotta studentesca contro l’installazione dei tornelli per l’accesso; la stessa biblioteca dove sono stato studente tirocinante tra il maggio e il luglio dell’anno scorso. Continua a leggere

Zamboni 36: Unibo sempre più sbirrosa

Abbiamo riportato martedì scorso l’emergere di una mobilitazione studentesca a seguito dell’installazione di tornelli per l’accesso alla Biblioteca di Discipline Umanistiche in via Zamboni 36, nel cuore della zona universitaria bolognese. L’evoluzione di questa lotta contro questo ennesimo balzo in avanti nel controllo sempre più carcerario dei luoghi pubblici, università in primis, è significativa sta avendo un’eco nazionale.

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Unibo: un altro “licenziamento” di massa degli studenti

Alla faccia delle sorti magnifiche e progressive per gli studenti dell’Università di Bologna che l’attuale rettore Ubertini ventilava durante la sua campagna elettorale, ancora una volta l’ateneo bolognese si conferma un bastione del massacro sociale che la borghesia continua a portare avanti ai danni delle conquiste storiche di lavoratori e studenti, non solo in ambito economico ma a tutti i livelli, compreso quello dell’istruzione superiore.

È notizia di ieri, infatti, per decisione del CDA, il passaggio al numero chiuso dei Corsi di Laurea di Scienze Politiche e Statistica. Nonostante le proteste degli studenti di questi corsi, di alcune realtà universitarie bolognesi, persino di alcuni organi dell’ateneo. La struttura delle università italiane di oggi, però, ha conferito uno stradominio a rettori e ai Consigli Di Amministrazione (CDA), anello di congiunzione tra gli atenei e i padroni dei poli privati industriali, tecnologici, militari, finaziari, culturali –  italiani ed esteri. Di conseguenza, i CDA procedono nel plasmare l’università secondo l’utile delle aziende.

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Autoriduzione a mensa caricata dalla Polizia di Merola e Renzi

Anche oggi, tanto per cambiare, #repressione violenta da parte delle forze di polizia verso un’azione politica messa in campo dagli studenti contro la #mensa più cara d’Italia, situazione che va avanti con la compiacenza di Unibo e Er-go che non hanno nulla da ridire sulla spremitura degli studenti operata dalla multinazionale Elior che gestisce la mensa di piazza Puntoni.

Questi episodi non sono errori, non sono casualità, sono la risposta politica dello Stato e dell’università a qualunque mobilitazione per migliorare le proprie condizioni di vita: perché i capitalisti sono ancora in crisi e questa crisi vogliono farla pagare a noi.
O ci impegniamo, studenti e lavoratori uniti, a dare una risposta organizzata, radicale, unitaria, di massa a questa politica, o siamo condannati all’impotenza.
Non ci sono vie di mezzo.

Libertà d’espressione e opposizione politica oggi

Ora che le acque si sono calmate ed è passato il quarto d’ora mediatico dedicato alle ultime contestazioni bolognesi a Matteo Salvini, è forse possibile fare qualche considerazione politica utile ai compagni del movimento operaio e di quello studentesco; un movimento, quest’ultimo, di cui faccio parte così come i compagni autori dell’articolo “Il feticcio della libertà d’espressione”. Mi permetto dunque, in risposta a tale articolo, qualche riflessione.

Gli autori commettono un errore (assolutamente in buona fede, immagino, volendo portare il lettore nel preciso campo politico di loro interesse) quando fanno risalire la genesi del concetto di libertà di espressione “in Italia” alla resistenza del 1943-5 (contraddicendosi, ricordando poi giustamente origini borghesi ben più antiche del concetto). Prendendo per buono il fatto che il concetto politico di “italianità” fosse già diffuso diversi secoli fa (cosa sia poi l’Italia, non si può trattarlo qui), la battaglia, degli strati e delle classi sociali (ri)emergenti in Italia dal basso medioevo in poi per affrancarsi dallo strapotere economico, politico, culturale che le opprimeva (sostanzialmente, quello della Chiesa, dell’Impero, delle potenze straniere), costituì fin da subito uno scontro politico per la libertà d’espressione, cioè per la libertà d’opinione e critica fuori e contro le potenze di cui sopra. Le dottrine moderne sulla libertà d’espressione sono storicamente nate da quella lotta, dall’affermarsi sull’arena economica e politica di strati sociali nuovi (o riemersi in nuove forme) contrapposti alle classi dominanti feudali. Il consolidamento del potere di queste classi sociali in evoluzione non poteva che passare da una libertà di pensiero, di dibattito, di ricerca scientifica contrapposta alla piramide teologica che sanciva la sacralità dell’ordine politico feudale. Quella situazione di proprietari piccoli e medi in ascesa, sia in lotta fra di essi nel gioco dell’accumulazione, sia contrapposti ai grandi proprietari di terre, reclamava a gran voce la più forte difesa della libertà d’espressione universale, dove l’universale, guarda caso, non veniva esteso di buon grado agli sfruttati. Successivamente, l’epoca della grande concentrazione e centralizzazione dei capitali, l’epoca dei cartelli, dei trust e dei monopoli, ha preparato le condizioni per una dottrina politica della centralizzazione della libertà di pensiero: la formazione dell’opinione pubblica è affidata a pochi grandi organi di stampa e mediatici legati alle grandi fazioni della borghesia in competizione tra loro, se non a un solo grande trust politico culminante idealmente nel partito unico più o meno fascista.

La fine del secolo scorso ha visto saltare l’alternanza “classica” tra blocchi politici di centrodestra e centrosinistra (composti, questi ultimi, di solito da partiti di origine operaia assestati nel campo politico borghese) a seguito della fine dei decenni “d’oro” del secondo dopoguerra: avanzando fasi di crisi sempre più profonde e difficili da superare, la forbice delle possibili politiche di governo si è assottigliata: esempio lampante è il Labour Party di Tony Blair in prima fila nella crociata imperialistica contro il demone del terrorismo islamista. In questo senso, in termini giornalistici, non è infondato parlare dello stabilirsi di una grande destra diffusa (vedi “partito della nazione”) dove il campo politico social-riformista non ha modo e senso d’esistere.

Venendo a noi, ci troviamo in una fase di crisi acuta delle classi dominanti europee, impegnate a mantenere per quanto possibile un posto privilegiato (forse con un’UE più forte, forse no) in un mondo dove l’epoca dello strapotere incontrastato USA-NATO sta finendo, e dove la stabilizzazione di nuovi equilibri tra imperialismi e grandi blocchi capitalistici è lontana. In Italia, in particolare, assistiamo all’evoluzione storica della carta “centrosinistra” giocata da un blocco importante, competitivo e “illuminato” della borghesia: con Renzi si è passati a una fase di pesante attacco delle classi dominate e delle loro forme di organizzazione, sindacati in primis. Con un PD, riplasmato come partito borghese lanciato sulla scia del bonapartismo di Renzi, a fare da ariete. In questo quadro, altri settori della piccola e grande borghesia si affidano a un altro blocco, quello di Salvini e di altri reazionari; a una prospettiva politica diversa, anche se non certo alternativa, dato che nessuno dei partiti padronali vuole certo questionare o, dio ce ne scampi, abbattere il sistema capitalistico in cui ci troviamo.

Oggi, la battaglia per plasmare l’ideologia dominante si gioca quindi fra blocchi a noi estranei, a formazioni politiche supportate dalle classi dominanti e che vivono per esse, risultando noi loro nemici e esse nostre nemiche: questo concetto, mi pare, deve essere cristallino; non tanto tra i “compagni” ma, in prospettiva, ai lavoratori, a tutti gli sfruttati, alle classi dominate in toto.

La nostra situazione, dunque, vede un progetto di delegittimazione, indebolimento e, in prospettiva, demolizione di qualsiasi opposizione politica delle classi sfruttate: per compiere più comodamente il loro macello – sempre meno metaforico, visto lo scenario di armamento generale e di conflitti militari diffusi, anche a poca distanza dai confini italiani. Si capisce allora subito perché lo Stato non abbia alcun interesse a reprimere sistematicamente “l’opposizione” fascista o comunque apertamente reazionaria e più o meno sovversiva: essa è funzionalissima a quel lavoro sporco di istigazione alla guerra tra poveri e di aggressione (formale con le forze dell’ordine o informale con le squadracce) agli oppositori politici e agli sfruttati in lotta. In questo senso, se c’è un vero erede del situazionismo, quello è il senso comune “democratico” di oggi: fascisti e squadristi sono coloro che contestano “da sinistra” le politiche reazionarie della Grande Maggioranza parlamentare borghese. La libertà di parola e manifestazione viene rivendicata a gran voce, per esempio, dal M5S per i fascisti, quando una qualsiasi critica (anche pacata e circoscritta) ai capitalisti e ai loro partiti in quanto tali è irragionevole, squalificata, “ideologica”. Proprio perché, nelle epoche schiacciate verso la reazione, come la nostra, l’ideologia dominante è talmente consolidata e radicata da diventare “tecnica”, “buon senso”, “buon governo” e via destreggiando. Mentre la critica dell’ideologia dominante è ideologia, falsa coscienza, mala fede; chi critica la società capitalistica, faccio notare, è spesso etichettato come “figlio di papà”, a dimostrazione che in tante cose il fascismo non ha perso ma ha stravinto, riuscendo a ribaltare la realtà per cui chi difende la politica borghese dà del prezzolato borghesotto ai proletari in lotta e agli anticapitalisti. Preso atto di ciò, questi ultimi farebbero bene a non riporre la minima speranza in una difesa giuridico-costituzionale dai reazionari: viene da chiedersi, quale giustizia e quale antifascismo possono difendere una legge e una costituzione scritte col marchio di togliattiana infamia dell’amnistia dei fascisti e dell’emarginazione, della carcerazione e dell’internamento di svariati partigiani (comunisti perlopiù, ovviamente)?

Chiarito questo, sì, “chiunque può dire qualsiasi cosa”: a patto che si pieghi al potere delle élite dominanti, gli si riconosce la libertà di compiacente parola e il patentino di democratico. Proprio quel sudicio patentino noi dobbiamo strappare, più che degli inutili quanto ininfluenti libri firmati da Salvini. Chi, specie in questa fase reazionaria di riflusso e smobilitazione, intende porsi come avanguardia politica (a proposito di ‘noi’ e identità politiche perdute nella nebbia) nel movimento operaio e studentesco, non può che avere come compito prioritario quello di ribadire, con chiarezza, costanza, inflessibilità, che la democrazia del tonfa, dei tagli, del razzismo, è la democrazia borghese; non ce n’è un’altra possibile, per noi, qui, oggi. Se questo è vero, più che la contestazione dei nemici (su cui si vince combattendo e non contestandoli), ci spetta un compito ben più ampio, faticoso, metodico, paziente, scientifico: la coltura, il perfezionamento e la diffusione di una coscienza di classe, rivoluzionaria, comunista, tra gli sfruttati, tra i lavoratori, tra gli studenti (tenendo conto della particolare posizione di questi ultimi nel complesso della divisione in classi della società); la ricostruzione di organismi di autorganizzazione di massa (ripeto: di massa, di massa, di massa!) degli studenti; la dialettica fra presa di coscienza, rafforzamento dell’organizzazione e dinamiche strutturali – perché molto non dipende da noi né dalle nostre coscienze, ma dall’evoluzione generale del conflitto di classe e delle sue conseguenze sullo Stato e sulla società civile. A proposito: le scelte di economia politica dello Stato e dei suoi addentellati non sono, appunto, disgrazie naturali o frutto di sadici piani di una plutocrazia nascosta (a proposito di fascismo): sono le conseguenza dell’evolversi della nostra società capitalistica in questa fase di incertezza fra la potente crisi del 2007-8 e un’altra crisi economica, forse ancora più forte e non molto lontana, che ci aspetta. È il capitalismo, bellezza: prendere o… abbattere. Proprio qui sta il punto: non c’è un’altra società, un’“altra Europa” se non una società che superi il capitalismo abbattendolo e rimuovendone sistematicamente le macerie. Da marxista, non posso che ripetere fino alla nausea più totale che tale società futura, e il movimento stesso che già ci sta portando a essa, sono il comunismo: la società che supera le classi sociali, la necessità di uno Stato, lo sfruttamento. La società dove l’espressione è libera perché liberi ed eguali sono i suoi membri. Battersi con questa prospettiva fa sì che il gioco valga la candela e che ogni passo in avanti del movimento reale sia un passo in più verso un obiettivo chiaro, storicamente necessario, comprensibile e condivisibile dalle più vaste masse di sfruttati e oppressi. L’alternativa è tra uno sterile lamento basato sulla confusa concezione di una “democrazia pura”, e un’agenda indipendente di mobilitazione politica, sui NOSTRI temi (caro vita, disoccupazione, sfruttamento, guerre, ecc.). Battersi con una prospettiva e una strategia rivoluzionarie rendono possibile continuare e sviluppare la lotta superando ogni illusione verso la democrazia borghese, ogni vittimismo e ogni feticismo della contestazione.

Giacomo Turci

Sulle elezioni studentesche Unibo

Fra poco più di un mese si terranno le elezioni studentesche per quanto riguarda gli organi d’ateneo dell’Unibo.
Contestiamo l’attuale modello di rappresentanza studentesca di scuole ed università, che si riduce, esattamente come per le elezioni borghesi, ad una delega “in bianco” in organi che non garantiscono né una piena democrazia né una reale ed incisiva capacità decisionale da parte degli studenti.
Siamo e rimaniamo convinti del fatto che, così come per i lavoratori, le future vittorie del movimento studentesco passeranno per la sua mobilitazione di massa e per la sua lotta non solo contro classi dominanti e governo, ma anche contro la stessa burocrazia d’ateneo schierata con questi ultimi.

L’attuale situazione di scarsissima organizzazione e mobilitazione degli universitari pone però il problema della costruzione di un’alternativa politica allo squallore renziano e sbirroso di oggi a partire dal poco che c’è, e non da inesistenti situazioni di coscienza di classe e conflitto diffusi. In questo senso, condanniamo la “sinistra” universitaria riformista che dirotta ogni protesta e aspirazione degli studenti verso una prospettiva del tutto compatibile con questa società basata sullo sfruttamento e sulla corruzione generalizzata, che non garantisce alcun reale “diritto allo studio”. Una “sinistra” che non è in grado di strappare reali conquiste generalizzate a partire dai bisogni immediati della gran massa degli studenti.

Per questo, riteniamo utile presentare, limitatamente alle nostre forze e senza imbastire liste-baracconi, nostre candidature alle elezioni d’ateneo: per presentare in maniera organica e più diffusa possibile il nostro programma, di prospettiva generale e non elettoralistico (lo trovate qui) e per poter conquistare qualche posizione negli organi d’ateneo, di modo da poter svolgere realmente quel compito di osservazione e di denuncia di tutte le malefatte interne all’Unibo, di modo che tutti gli studenti siano informati per tempo e compiutamente dell’evolversi della situazione disastrosa di questa università in via di privatizzazione, sempre più completamente piegata al solo diritto dei capitalisti al profitto. Di modo che gli studenti, sempre più informati e coscienti, possano avanzare una loro autonoma critica all’università e un loro programma di rivendicazioni sul quale organizzarsi e mobilitarsi.

Vi invitiamo, per garantirci la partecipazione, a sottoscrivere le nostre candidature (vedi link sotto), che saranno attivate in questi giorni – avete tempo fino al 13 aprile.

Saremo sicuramente presenti con liste al Corso di Geografia e Processi Territoriali, al corso di Filosofia, al Dipartimento di Storia Culture Civiltà, al Dipartimento di Filosofia e Discipline della Comunicazione, al Consiglio degli Studenti.

Per il consiglio degli Studenti, è già stata presentata la candidatura del compagno Giacomo Turci, studente di Geografia, che vi invitiamo a sottoscrivere: servono 30 sottoscrittori (senza poi obbligo di votarci) per convalidare la candidatura.

CONTRO SFRUTTAMENTO, REPRESSIONE E GUERRA, UNITÀ NELLA LOTTA DI CLASSE!

Riportiamo il testo del volantino che distribuiremo in scuole e facoltà, al corteo di domani in memoria di Francesco Lorusso (ritrovo ore 18 in piazza Verdi) e al corteo di sabato contro la guerra (ritrovo alle 15 in piazza San Francesco). Invitiamo tutti gli studenti a partecipare a questi due importanti appuntamenti di piazza, per ribadire le nostre ragioni contro oppressione poliziesca e giochi di guerra delle classi dominanti.

Gli Studenti Rivoluzionari aderiscono e partecipano alle manifestazioni bolognesi in memoria di Francesco Lorusso e contro la guerra, indette per l’11 e il 12 marzo. Manifestazioni che sarebbero ‘naturalmente’ collegate, contro repressione poliziesca e interventi militari, salvo che con ogni probabilità assisteremo all’ennesima divisione e dispersione di forze che avrebbero invece ogni interesse a convergere nella comune lotta alla classe dominante e ai suoi sgherri armati.

Ribadiamo che l’appello di convocazione del 12 marzo contiene alcune sfumature che non condividiamo: il riferimento ad un’Italia “neutrale” quale fattore di “pace”. L’Italia è un paese imperialista, tra paesi e potenze imperialiste. Nessun imperialismo può essere fattore di pace, quale che sia la sua collocazione diplomatica, perché si fonda sull’oppressione diretta o indiretta di altri popoli. Solo il rovesciamento dell’imperialismo, e dunque del capitalismo su cui si fonda, può liberare uno scenario di vera pace. Che è inseparabile dall’emancipazione e liberazione da ogni oppressione. Tuttavia, il limite pacifista dell’appello non cancella il suo valore positivo e progressivo. Tanto più a fronte dei preparativi di guerra in Libia, e della continuazione del tragedia siriana. Si pone la necessità di allargare il fronte della mobilitazione contro la guerra, fuori da ogni logica minoritaria, per trasformarlo in un fattore politico capace di incidere sulla scena politica italiana. Per questo è giusto e opportuno che convergano in questa lotta quante più forze possibili che rivendicano la pace contro la guerra, forze politiche, sindacali etc. del movimento operaio e studentesco. Sosteniamo quindi senza riserve la formazione e la crescita di comitati unitari contro la guerra che, nel rispetto delle diversità di posizioni e del loro confronto, siano capaci di aggregare in ogni territorio il fronte di mobilitazione più vasto. In questo percorso, ribadiremo la nostra prospettiva di fondo: classista, internazionalista, rivoluzionaria.

Il “keynesismo militare” di rilancio della spesa bellica italiana ed europea dimostra che di soldi per i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, gli studenti ce ne sarebbero eccome! Ma le priorità della spesa pubblica e degli investimenti sono decise dai “soliti noti”: banchieri, industriali, palazzinari, clero. È il momento di dire basta a questa austerità a favore dei pochi grandi proprietari (a cui invece si tagliano pure le tasse) per riaffermare le nostre priorità, i nostri bisogni in una sola piattaforma unificante di tutti gli sfruttati e gli oppressi: uniamo le lotte e le rivendicazioni, perché solo uniti si vince.

La migliore scommessa che possiamo fare è quella del rilancio del movimento studentesco collegato a quello dei lavoratori: la migliore risposta a sfruttamento, repressione e guerra è l‘unità nella lotta di classe.

Contro tagli e “austerità”, rivendichiamo l’unico autentico diritto allo studio, la totale copertura economica delle spese degli studenti: a tempo pieno di studio, un salario pieno per gli studenti!
Per una scuola di qualità, di massa, gratuita, gestita da lavoratori e studenti, e non da industriali e da preti!

Non siamo bestie a cui dare le briciole che cadono dalla tavola dei padroni!

PER L’UNITÀ DEL MOVIMENTO STUDENTESCO NELLA LOTTA ALLA REPRESSIONE

POLIZIESCA, AI BARONI GUERRAFONDAI, ALLA GUERRA!

NO ALLA PROPAGANDA BELLICA NELLE NOSTRE SCUOLE, NELLE NOSTRE FACOLTÀ!

NO ALLE RONDE ARMATE PAGATE DALL’UNIBO!

NO ALL’UNIVERSITÀ ASSERVITA ALL’INDUSTRIA BELLICA!

STOP ALLE MISSIONI MILITARI ALL’ESTERO!

TAGLIARE LE SPESE MILITARI! PER SALARI PIÙ ALTI AI LAVORATORI, PER UN SALARIO AGLI STUDENTI!

LA PACE DEL MONDO VER CON LA CADUTA DEL CAPITALISMO!

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